“Anisocoria: la mostra che esplora il rapporto tra vita privata e sguardo altrui”: un’indagine interiore attraverso al camera da letto

“Anisocoria: la mostra che esplora il rapporto tra vita privata e sguardo altrui”: un’indagine interiore attraverso al camera da letto
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Opening 15 dicembre h.19. Spazio Amira Via San Felice, 16, Nola

Spazio Amira è lieto di presentare, venerdì 15 dicembre, la mostra Anisocoria di Paolo Covino e Giuseppe Vitale a cura di Stefania Trotta. “L’anisocoria è il termine medico che indica la presenza di pupille di dimensioni diverse”. Questo particolare fenomeno che coinvolge l’organo della vista, ha delle assonanze con il modo di percepire la fotografia dei due artisti in mostra. Utilizzando due formati diversi, infatti, ci troviamo davanti a coppie di dittici “di dimensioni diverse”, che dialogano su temi affini se non universali.
Certe volte si pensa alla propria vita come al soggetto di un film. Per riconoscerla come “nostra” si ha il bisogno di vederla con altri occhi, come quando si guarda qualcosa, per la prima volta, dal buco della serratura. Si crea una doppia visione, una inizialmente, forse, incomprensibile ed una, in qualche modo simile a quella di chiunque altro.
Il processo di identificazione e di riconoscimento personale, segue il suo corso vitale in modi e tempi diversi per ognuno ma, solitamente, ha inizio da un letto. Il concepimento, il parto, il riposo con i suoi sogni ed incubi, la procreazione e di nuovo tutto, fino alla morte.
Attraverso gli occhi di Paolo Covino, siamo come gli angeli di Wim Wenders. Entriamo nelle case di sconosciuti, nelle loro camere da letto, così simili e così distanti. Nessuna presenza ingombrante, ma solo il passaggio di chi ha steso quelle lenzuola, di chi si è appoggiato stanco dopo una giornata di lavoro o chi ha pregato avvolto nel silenzio della notte.
Un mondo privato, inaccessibile, che diventa altro, un’immagine in cui potersi osservare, riconoscere, dove prendono vita ricordi immaginati e silhouette del passato. Quel copriletto ricamato dei nonni è la radiografia di un’epoca, di una comunità, che continua a esistere in certi luoghi, dove le copertine di design non possono arrivare. I colori pastello, a tratti un po’ arrugginiti dal tempo, incorniciano le pareti che fanno da sfondo ai pochi oggetti rimasti, complici fedeli di un esule sguardo.
È un mondo sottovuoto, quasi in sordina quello di Giuseppe Vitale che rincorre una perdita, la sua traccia, sul fondo. Una rottura, una via luminosa, una superficie erosa, tutto simula il pregresso, anticipa la vita, come una forma dall’evoluzione imprevedibile ma da sempre presente.
Un attraversamento che segue l’inconscio, si conserva per soffocare l’annientamento  dei sensi e raggiunge la quiete dopo la salita.
Un macroclima nel formato di una foto appena visibile, che richiede un avvicinamento corporeo.     Un ritorno al respiro, in condizioni non ottimali, che esacerba un dolore, nel tentativo di colmare una distanza. La mancanza d’aria trova una condizione di adattamento tra i resti di un trauma: bisogna immergersi, fidarsi e seguire gli indizi. 
Nell’ipogeo dello spazio sarà inoltre allestito uno spazio immersivo, che vuole comunicare il carico emotivo e in parte percettivo dietro i lavori dei due artisti.


Paolo Covino, 1983 Pietrelcina

Provengo dall’ entroterra campano, da un luogo distante dai vorticosi cambiamenti del progresso e dalla motilità inafferrabile delle grandi città. Mi avvicino alla fotografia per fermare il rapido mutare delle cose che mi circondano. Inizio a praticare quest’arte da autodidatta fino a giungere alla proficua collaborazione con maestri del settore. In qualità di testimone di tempi e luoghi che si avviano a tramonto, riprendo i soggetti che sono principalmente quelli della mia infanzia, quelli che provengono dai racconti dagli anziani, quelli che hanno i colori sbiaditi del ricordo. La sociale rurale, le case dei contadini, i paesi quasi abbandonati o ormai deserti, gli utensili del “prima delle macchine “, sono la materia magmatica da cui traggo ispirazione. La plasmo per darle una vita nuova nel tentativo di salvaguardarne il significato primigenio, affinché non scompaia del tutto. E la propongo più e più volte, in maniera ossessiva, disturbante, per richiamare all’ oggi ciò che era il continuo ripetersi del ciclo delle stagioni e delle età, antica misura del tempo che fu di ieri. Cerco di dare, nella mia ricerca e con i miei lavori, un movimento circolare alle foto, tale per cui ciò che emerge torna sempre a sé stesso in un flusso che è vita, morte e nuovamente vita. Dalla mia passione per i luoghi trascurati e le tradizioni obliate nasce la collaborazione con il poeta Franco Arminio, esperto di Paesologia, con cui stiamo portando avanti un progetto di rivalutazione dei paesi in via di spopolamento e dei costumi di ancestrale memoria.

Giuseppe Vitale (1981)

Mi sono avvicinato alla pratica della fotografia dopo aver subito un grave lutto personale che mi ha messo brutalmente a confronto con la mancanza. Istintivamente ho sentito che soltanto attraverso l’osservazione minuziosa di fenomeni visivi, a volte minuscoli e quasi impercettibili, potevo alleviare la mia sofferenza.Questa pratica “liberatoria” mi ha condotto a prendere le “misure” dello spazio che man mano si liberava accogliendo la dimensione nuova generata dall’assenza stessa.Nel proseguire il lavoro di indagine sulla mancanza, ho quindi esplorato lo spazio immergendomi in esso, ponendomi al suo stesso livello e a quello della mancanza così come della materia “nuova” che via via lo permeava arrivando a capire che annullare il proprio sé nello spazio è una condizione possibile, e che il percorso è obbligato poiché soltanto se ci si immerge nel dolore della perdita si arriva ad essere privati della sofferenza generata dal dolore stesso. Tale percorso naturalmente non ha termine ma permette di giungere a una preziosa condizione in cui coesistono due stati sensibili: quello che ci fa precipitare nell’oscurità profonda, senza appiglio alcuno di salvezza e, al contempo, quello che sprigiona la volontà di condivisione del frutto luminoso nato dalla sofferenza. Una condizione che si può paragonare a una reazione chimica dove l’energia liberata nell’atto di fotografare esplode, dando origine a una nuova forza che ci lascia stupefatti nell’essere.I miei lavori sono stati esposti sia in Italia che all’Estero entrando a far parte di alcune collezioni private. Attualmente sono rappresentato in Italia da “Red Lab Gallery”, Milano.

di Redazione

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