Cristiana Buccarelli. Il viaggio come forma letteraria: racconti brevi e ricchi di immediatezza narrativa
Il giornalista e scrittore polacco Ryszard Kapuscinski ha scritto: ‘’Un viaggio non inizia nel momento in cui partiamo né finisce nel momento in cui raggiungiamo la meta. In realtà comincia molto prima e non finisce mai, dato che il nastro dei ricordi continua a scorrerci dentro anche dopo che ci siamo fermati. È il virus del viaggio, malattia sostanzialmente incurabile’’.
Non è dunque il viaggio solo uno spostamento nello spazio e nel tempo, ma è soprattutto, ogni volta, un passaggio all’interno di noi stessi, un varcare delle soglie e trovare un altrove; qualcosa di sconosciuto che si dipana nel nostro mondo interiore e che ci permette di perdere quella sensazione del limite, della chiusura all’interno delle mura del quotidiano.
Non solo, per chi ama la scrittura e la lettura il viaggio è davvero un libro aperto da cui apprendere, assorbire significati, immagini, riflessioni e visioni.
Per questo motivo, all’interno del laboratorio di scrittura ‘Lo Sguardo e la Parola’ che conduco da molti anni, si sono volute ripercorrere negli ultimi mesi, alcune esperienze di viaggio e da ciò è scaturita una riflessione collettiva, che porterà a breve alla pubblicazione di una collettanea dedicata a questo nostro percorso.
Si tratterà di alcuni racconti brevi e ricchi di immediatezza narrativa con un riferimento da parte degli allievi e autori, sia a luoghi che affiorano attraverso la propria memoria emotiva e rappresentano una dimensione di peregrinazione e rifugio, sia a luoghi solo immaginati e mai esperiti, quindi luoghi non luoghi o confini di una consapevolezza emotiva.
Durante il laboratorio si è percorso un sentiero di letteratura del Novecento e contemporanea dedicata al viaggio.
Si è partiti da un classico della narrativa, che è un emblema del viaggio interiore; Siddharta di Hermann Hesse, per il quale ciò che si cerca durante il viaggio è il tutto, la totalità che ha mille volti. Hesse richiama il verbo suchen, in tedesco cercare, e lo utilizza sostantivato come der suchen (colui che cerca) e in questo modo ci indica tutti quelli che non si accontentano della superficie delle cose, ma vogliono rendersi conto fino in fondo soprattutto dei rapporti che intercorrono fra loro stessi e il mondo. Secondo Hesse, per tutti coloro che cercano in profondità, il cercare è già un trovare ed è in sostanza un vivere nello spirito.
Si è poi considerato il viaggio come passaggio o spostamento che nasce dalla necessità, attraverso il memorabile e recente romanzo Vita di Melania Mazzucco, in cui i protagonisti sono Vita e Diamante, due ragazzini che nel 1903 sbarcano a New York, nella speranza di una vita migliore nella grande metropoli, reduci dalla miseria delle campagne del Mezzogiorno d’Italia.
Qui la Mazzucco richiama con grande abilità il destino di due membri della sua stessa famiglia, riportandoli alla memoria attraverso una narrazione storica dagli ampi orizzonti e creando la leggenda familiare di una famiglia senza storia. Inoltre, collocandoli nel tempo, attraverso la loro voce intima e personale, ricostruisce in senso generale la vicenda delle migrazioni italiane in America.
Di seguito si è voluta affrontare la prospettiva del viaggio dei profughi, considerando il particolare momento storico che stiamo vivendo in Europa, attraverso il racconto autobiografico L’Analfabeta della grande scrittrice ungherese Aghota Kristof, la quale racconta la durezza della sua esistenza da profuga, dopo l’invasione sovietica dell’Ungheria nel 56’.
La Kristof riporta tutti i suoi spostamenti insieme alla bimba piccola e al marito, sradicata dalla propria terra, dalla propria casa, dai propri cari; richiama il senso meccanico del tempo, scandito dal lavoro in fabbrica, e dunque l’importanza della parola e della scrittura, come elemento con cui riuscire a mantenere la propria identità più profonda, quando si è perso tutto.
Poi, attraverso alcuni racconti brevi e poetici tratti da Sillabari di Goffredo Parise e con la lettura del racconto surreale Il colombre di Dino Buzzati, si è considerato lo spostarsi e il dimorare in svariati luoghi come rappresentazione delle ansie e dell’angoscia più profonda dell’uomo moderno, con elementi simbolici che esprimono quanto di misterioso ci sia nel movimento della vita stessa.
Infine si sono rievocati alcuni brani della mia opera narrativa Eco del Mediterraneo. Ho voluto intendere il viaggio nelle terre del Mediterraneo, come percorso nel luogo della scoperta, del dialogo e del confronto multiculturale e millenario, che ha caratterizzato sempre, al di là di ogni confine fisico e politico, la realtà dell’accoglienza e della convivialità, che da sempre è luogo privilegiato in cui nascono le storie, punto geografico in cui irrompe la narrazione e per gli antichi il mito stesso.
Il mar Mediterraneo come memoria, come senso di appartenenza atavica che affiora all’improvviso e che fa comprendere ad ognuno di noi di avere dentro di sé qualcosa di ogni luogo che questo mare unisce e sente, quindi, di essere figlio di un mare che è in mezzo alle terre unite dall’abbraccio di questo mare.
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