Gustavo Delugan, l’ “artista ecosostenibile” che racconta il mondo attraverso frammenti di legno di recupero
di Sara Ramondino
Il Quartiere Borbonico di Casagiove dal 12 al 25 settembre ha ospitato una serie di opere dell’artista Gustavo Delugan dove frammenti di legno di recupero son divenuti originali installazioni artistiche cariche di simboli e significati. Ancora una volta è il legno a narrare la storia di una società afflitta da svariate problematiche, come l’inquinamento, la criminalità, la caduta dei valori, la lotta al razzismo e a qualsiasi forma di discriminazione, la precarietà della vita dei lavoratori e la mancanza di fede.
Delineare il profilo artistico e culturale di Delugan significa interfacciarsi a una multidisciplinarietà che non conosce confini e barriere; all’artista trentino non sfugge proprio nulla. Prendere parte a una sua esposizione vuol dire approfondire, conoscere e meditare su tematiche di grande attualità. Ma non solo; significa anche avere la possibilità di viaggiare con la mente da una località ad un’altra. Dalle Dolomiti all’area vesuviana Delugan costruisce il suo percorso di crescita personale e artistica e dà forma a nuove creazioni e a diversi piani di lettura della realtà.
La mostra si è aperta con l’icona tipica dell’immaginario borbonico, la scultura di un cavallo, ricavata da legno di recupero. L’artista si è ispirato ad un bassorilievo in marmo presente al Museo di Capua – luogo prescelto per la mostra precedente – con l’intento di creare anche un filet rouge con quest’ultima.
Una componente essenziale dell’ultima esposizione di Delugan – come già anticipato – è proprio l’eterogeneità dei temi selezionati accuratamente dall’artista, dove l’ecologia si alterna alla biodiversità, ad argomenti di attualità, a segmenti architettonici e paesaggistici. Il “Pannello dell’architettura borbonica”, insieme al cavallo, è un’installazione che ha reso omaggio al luogo di esposizione della mostra e ha permesso al visitatore di conoscere la funzione e la storia di questo particolare edificio. Il Quartiere Borbonico in passato era conosciuto anche come “L’Altra Reggia” perché Carlo di Borbone lo aveva trasformato in un ospedale per curare coloro che si ferivano durante i lavori alla Reggia di Caserta; inoltre nel cortile del Quartiere un tempo c’erano gli abbeveratoi dei cavalli; da qui sorge anche l’idea esporre la scultura del cavallo.
I temi toccati
“Mediterraneo”,
Fra i numerosi temi toccati, spicca “Mediterraneo”, l’ opera di Delugan più recente e risalente all’agosto 2021; è ispirata al naufragio dei migranti in mare.
“Questi son frammenti di naufragio che ho raccolto in Sicilia – ha affermato l’artista – li ho assemblati per fare una specie di zattera della speranza, una zattera che galleggia con le mani alzate dei migranti che chiedono un disperato bisogno di aiuto”.
Per l’artista trentino è fondamentale sottolineare che il mondo attuale non può e non deve conoscere confini di razza e territorio. Il tratto distintivo della società contemporanea risiede proprio nel superamento del concetto di differenza e razzismo.
“Il virus non conosce confini – ha chiosato – così il network e i migranti”.
Un altro pannello che racchiude questa tematica è composto da una linea rossa raffigurante un meridiano che oltrepassa qualsiasi confine territoriale, dalla Norvegia (rappresentata dal quadrante bianco in alto dell’opera) all’Africa (il quadrante in basso); questo attraversa territori di etnia e colore diversi dove il confine ‘Stato’ non esiste più; la nostra è un’era contrassegnata da una massiccia integrazione sociale e culturale; per cui non ha alcun senso innalzare muri nazionalistici e territoriali.
“Nessuno”
Sempre in armonia con il fenomeno dell’immigrazione, Delugan ha proposto “Nessuno”, una scultura in legno recuperato dal mare, dedicata a tutti i ‘nessuno’, cioè agli anonimi che ogni anno muoiono in mare perché attraversano il Mediterraneo con la speranza di trovare dall’altra parte un mondo migliore; ma molto spesso questi migranti più che trovare fortuna, si imbattono in qualcuno che li sfrutti o, peggio ancora, incappano nella morte affogando nel mare senza un nome e documenti; senza una dignità che consenta loro di poterli identificare.
Napoli, la città “dai mille colori”
La napoletanità è un’ulteriore tema di cui Delugan ha discusso durante la sua mostra, con opere e installazioni rievocanti il carattere magmatico e tellurico del territorio vesuviano. Il Vesuvio ed il Monte Somma in un’altra sua opera si configurano non solo come icone paesaggistiche e culturali ma anche come elementi da tenere sotto osservazione. L’artista con ciò ha mosso una riflessione sulle contraddizioni dell’area vesuviana, località di grande splendore ma sempre più sfruttata dall’urbanizzazione e dall’abusivismo edilizio, dove gli abitanti sembrano quasi voler dimenticare o rimuovere l’idea di vivere sopra una vera e propria ‘caldera’.
Nella sezione dedicata alla città di Napoli emerge anche la ‘casalinga’ installazione realizzata con un’antina di un mobiletto da cucina posta in modo orizzontale, con sopra raffigurati due raggi che rappresentano il tracciato greco Spaccanapoli e via Duomo; il numero “22” – che sulla tombola napoletana rappresenta la pazzia, la città folle – e poi il fuoco, il tufo e il mare, elementi precipui del capoluogo partenopeo tutti accorpati e reinterpretati sull’antina; trattasi di un ricco omaggio alla cucina napoletana, alle sue leccornie e al suo intramontabile folklore.
Napoli è una città “dai mille colori” ed in questa eterogeneità cromatica si possono ricercare tanta bellezza ma purtroppo anche molteplici scenari di delinquenza e criminalità. Con l’installazione intitolata “Resilienza 2020” Delugan ha voluto marcare il discorso inerente alla piaga dilagante della Camorra, paragonata dall’artista a una “morsa che stringe l’individuo e il territorio e a fronte di questa c’è un popolo resiliente che si piega ma non si spezza”. Nell’opera la ‘morsa’ è la criminalità organizzata e il legno un po’ ricurvo ma che non si spezza è la parte civile che combatte contro questa.
L’agro felice
Un’altra parte dell’esposizione è anche dedicato all’“agro felice” di Delugan, dove affondano le sue origini trentine. Il “Cervino delle Dolomiti”, Cimon della Pala, è la montagna che sta più a cuore all’artista, ai cui piedi sorge il paese in cui è nato e cresciuto.
“Il senso di questo pannello – ha osservato Delugan – è il percorso dorato che parte dal basso e sale in cima alla montagna e va oltre; perché la salita su una montagna corrisponde all’ascensione dello spirito. Tutti i monasteri sono arroccati sulle montagne”.
L’artista ha confessato il suo atavico amore per le montagne e lui stesso si è definito una sorta di “alpinista romantico” in procinto di raggiungere i punti più alti per aprirsi alla meditazione, al dialogo con se stesso ma anche con la natura circostante.
I pilastri iconici della città di Napoli
La sfera del sacro è stata la successiva parte della mostra con pannelli e riferimenti al “D10S” del calcio Maradona e a San Gennaro“faccia gialla”; due pilastri iconici portanti della città di Napoli. In merito al pannello di San Gennaro non è un caso, infatti, che l’artista nel realizzarlo abbia optato per la prevalenza della tonalità del giallo.
“Le reliquie di San Gennaro – ha chiosato – sono contenute in un busto di argento dorato e quando questo viene esposto alla luce assume dei riflessi gialli. Le fedeli quando il miracolo viene fatto restano zitte e mute; ma quando non avviene lo insultano, spesso anche nei modi più feroci, con parolacce, denominandolo anche ‘faccia gialla’ proprio a motivo di questo riflesso sul busto d’argento”.
Un altro pannello è stato poi dedicato alle stratificazioni urbane partenopee, soprattutto dei centri antichi di Napoli, definiti da Delugan “libri a cielo aperto”, dove la città si autoracconta e si vive.
La sezione dedicata alla sacralità è proseguita con l’immagine simbolica del crocifisso. “Fede” è il nome di un’opera di Delugan raffigurante la croce in assenza del Cristo fisico; ciò sta ad evidenziare proprio che la spiritualità si trasmette al di là del corpo e della materia. Eppoi c’è il ‘crocifisso laico’ dedicato ai lavoratori, caratterizzato da cinque martelli saldati.
“Il crocifisso è simbolo di passione – ha espresso Delugan – e qui ho rappresentato la forza, il dolore, la sofferenza di chi lavora, di chi si spacca la schiena tutti i giorni per andare a lavorare”.
Dall’unione di arte e tecnica, ecco che l’artista ha proposto poi un’altra installazione dove un semplice strumento da lavoro come il martello diviene un’immagine carica di numerosi significati. Il “Martello Fibonacci” è sintesi di spirito e matematica; secondo la regola aurea di Fibonacci che regola la crescita e la costruzione in natura, il numero successivo è sempre la somma dei due precedenti; per l’artista – allo stesso modo – il martello è simbolo di crescita e costruzione esperienziale e sociale per ciascun lavoratore.
Riflessione sul concetto di ‘morte
L’esposizione è stata arricchita anche da una riflessione sul concetto di ‘morte’ con una delle installazioni più recenti, quello della livella usata americana che pone in modo orizzontale e uguale la nascita e la morte; entrambe sono condizioni che si livellano e compensano in modo vicendevole e reciproco.
Data la sensibilità di Delugan verso il tema del riciclo, non è mancata una sezione dedicata al tema portante dell’ ambiente.
“Non c’è tempo da perdere – così ha detto – dobbiamo scegliere se vogliamo recuperare o vogliamo suicidarci”.
A questo proposito l’artista ha dedicato anche un’opera al crudo e attuale tema della Terra dei Fuochi, il cui sistema è manovrato dal potere dei ‘colletti bianchi’ collusi con il malaffare.
Il clima
L’attenzione spiccata e profonda verso un tema di attualità e di grande portata come il clima, ha ispirato Delugan a focalizzarsi anche su un evento climatico che ha investito nell’ ottobre 2018 la sua terra natia, il Trentino. Con la Tempesta Vaia, una forte perturbazione atlantica che ha riguardato gran parte del Nord-Est dell’Italia, molti alberi alti all’incirca 20/30 metri sono stati rasi al suolo. Qualche anno dopo Delugan è tornato sul luogo e ha portato con sé un frammento di tronco, un sasso e delle tegole di una chiesetta spazzata via durante la tempesta, con l’intento di rammentare quel tragico evento e riflettere sulla potenza dei fenomeni naturali che spesso sembrano quasi ‘ribellarsi’ ai soprusi dell’attività umana. Sulla stessa falsariga l’opera “Ascolta la natura” è un solido messaggio, un chiaro incentivo a prestare attenzione al mondo naturalistico circostante, a porgere orecchio a ciò che la natura ‘dice’; l’originale installazione è composta da uno stetoscopio – strumento usato in medicina per sentire i rumori del torace – appoggiato su un pezzo di legno tranciato su granito rosa. Di vitale importanza è per Delugan ascoltare i suoni delle viscere del nostro pianeta, per comprenderne i mutamenti causati in questo momento storico soprattutto dal cambiamento climatico. Non bisogna nemmeno dare per scontati l’esistenza di vulcani come il Vesuvio.
“Vulcano” è un’opera che racchiude questo allarme che Delugan si accinge a lanciare: sotto quella montagna ‘apparente’ si cela un’ enorme caldera carica di fuoco, cenere, lapilli e gas mortali; per cui, è necessario monitorare più che mai il territorio e soprattutto rispettarlo; quest’ultima è realizzata con lancia di pompieri e pietra lavica dell’Etna, recuperata dall’artista durante un soggiorno in Sicilia.
Il giro espositivo si è concluso in modo ‘ciclico’, attraverso cui Delugan ha ripreso il tema iniziale dei corridoi umanitari e della solidarietà sociale, con un pannello dedicato a una rifugiata etiope uccisa in Trentino a fine anno scorso. La donna aveva sporto denuncia in merito all’acquisto massiccio dei cinesi di numerose terre dell’Africa; per questo motivo è stata segnalata e poi assassinata. Delugan ha voluto omaggiarla con un lavoro originale dove ancora una volta ripercorre le proprie origini; infatti la rifugiata etiope aveva studiato in Trentino e proprio in questa regione aveva fondato un’azienda agricola, denominata la “Capra Felice”. Non a caso l’artista ha riprodotto nel pannello il tipico copricapo che indossava la donna, i pascoli del Trentino e l’icona della capra, a simboleggiare l’armonia tra uomo e natura nel momento in cui si avvia un’attività economica e sostenibile.
Con la vocazione nell’aprirsi ad altre culture, tradizioni, geografie e con una spiccata sensibilità verso temi ambientali, sociali e umani, Delugan si è rivelato ancora una volta un artista dalle mille sfaccettature. Partecipare a una sua mostra, significa affacciarsi al mondo che ci circonda con tutte le sue miriadi di problematiche e – nel contempo – vuol dire anche assaporare con lo sguardo, la mente e i sensi le strabilianti bellezze artistiche e naturalistiche, con il fine di renderci più predisposti al miglioramento e alla preservazione del nostro pianeta.
Delineare il profilo artistico e culturale di Delugan significa interfacciarsi a una multidisciplinarietà che non conosce confini e barriere; all’artista trentino non sfugge proprio nulla. Prendere parte a una sua esposizione vuol dire approfondire, conoscere e meditare su tematiche di grande attualità. Ma non solo; significa anche avere la possibilità di viaggiare con la mente da una località ad un’altra. Dalle Dolomiti all’area vesuviana Delugan costruisce il suo percorso di crescita personale e artistica e dà forma a nuove creazioni e a diversi piani di lettura della realtà.
La mostra si è aperta con l’icona tipica dell’immaginario borbonico, la scultura di un cavallo, ricavata da legno di recupero. L’artista si è ispirato ad un bassorilievo in marmo presente al Museo di Capua – luogo prescelto per la mostra precedente – con l’intento di creare anche un filet rouge con quest’ultima.
Una componente essenziale dell’ultima esposizione di Delugan – come già anticipato – è proprio l’eterogeneità dei temi selezionati accuratamente dall’artista, dove l’ecologia si alterna alla biodiversità, ad argomenti di attualità, a segmenti architettonici e paesaggistici. Il “Pannello dell’architettura borbonica”, insieme al cavallo, è un’installazione che ha reso omaggio al luogo di esposizione della mostra e ha permesso al visitatore di conoscere la funzione e la storia di questo particolare edificio. Il Quartiere Borbonico in passato era conosciuto anche come “L’Altra Reggia” perché Carlo di Borbone lo aveva trasformato in un ospedale per curare coloro che si ferivano durante i lavori alla Reggia di Caserta; inoltre nel cortile del Quartiere un tempo c’erano gli abbeveratoi dei cavalli; da qui sorge anche l’idea esporre la scultura del cavallo.
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