I giovani e i pericoli del web. Sindrome FOMO, nomofobia e vamping

I giovani e i pericoli del web. Sindrome FOMO, nomofobia e vamping
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A cura della dr.ssa Letizia Di Lauro – Criminologa

Nelle ultime settimane si susseguono le notizie di giovanissimi che si sono tolti la vita o hanno tentato di togliersi la vita, caduti vittime nelle reti di malintenzionati, pedofili, cyberbulli o comunque soggetti con chiaro disturbo antisociale di personalità che popolano il web, approfittando della possibilità dell’anonimato che esso offre paradossalmente a garanzia della privacy degli utenti delle comunità virtuali.

Ciò turba non poco i genitori, ma anche gli insegnati e in generale tutti noi internauti che ci sentiamo sopraffatti dall’impotenza quando leggiamo di queste giovani vite spezzate troppo presto, che non hanno avuto la possibilità di apprezzare le gioie della vita a loro riservate a causa di scellerati e mostri dalle personalità disturbate che subdolamente si sono insinuati nelle loro vite non ancora sbocciate.

La diffusione dei social media ha permesso alle persone di essere sempre connesse tra loro e questo fenomeno, per quanto abbia risvolti positivi, ha causato nuove forme di fobie derivanti dalla dipendenza dallo smartphone, la quale ha un impatto multiforme sugli utenti del cyberspazio che sono raggiunti in ogni luogo in qualsiasi momento.

Le interazioni sono pervase dal desiderio di essere sempre connessi con gli altri attraverso i social network, il digitale è il rinnovato spazio sociale in cui sviluppano le relazioni, social come Facebook, Instagram, Tik Tok, sono diventati travolgenti per taluni perché hanno la percezione di desiderare sempre e di più quello che non possono avere.

I livelli di ansia allora si intensificano in maniera considerevole quando il pensiero di qualcosa sentito come essenziale per la propria felicità si fonde con l’ansia e l’angoscia di avvertire incessantemente che quel qualcosa invece manca.

Il senso di appartenenza che si ricerca freneticamente attraverso l’utilizzo di dispositivi digitali è un fattore importante per i nuovi valori di identità socio-digitale, come pure una componente chiave dell’autostima, motivo principale per cui le reti di social media svolgono un ruolo fondamentale nelle attuali relazioni interpersonali.

Le problematiche derivanti dalla dipendenza da dispositivi digitali invadono però anche e soprattutto la sfera della salute, per quanto riguarda gli aspetti psicocognitivi, chi abusa della tecnologia soffre di senso di isolamento, depressione, ansia e inizia a sviluppare connessioni neurologiche nel cervello simili a quelle di coloro hanno una dipendenza da oppioidi.

Focalizzando lo sguardo su aspetti prettamente biologici la salute del cervello è data da una alternanza tra momenti di attività e rigenerazione, se non si concede il tempo al cervello di rigenerarsi a causa della dipendenza, la conseguenza è la degenerazione neuronale; tale incapacità di tenere a riposo il sistema neuronale induce a diversi fenomeni dai nomi non convenzionali quali Sindrome FOMO, Nomofobia e Vamping.

La FOMO

Le fobie sono comunemente considerate disturbi legati all’ansia in riferimento a oggetti o situazioni specifiche, che generano livelli di paura immotivata e irrazionale; la sindrome detta FOMO, acronimo che sta per l’inglese Fear Of Missing Out, ovvero la paura di essere tagliati fuori da esperienze gratificanti che fanno le altre persone e dal continuo desiderio di essere sempre connessi con l’esterno controllando compulsivamente una eventuale nuova notifica dei social network.

Questa è una forma di ansia sociale di percepirsi esclusi da eventi piacevoli che vengono condivisi sui social e che implicano un incessante confronto con gli altri. Ciò per una persona insicura, insoddisfatta  e con bassi livelli di autostima, come può essere un adolescente o un giovanissimo, soprattutto in questo momento storico in cui ci si trova costretti in casa, isolati dalla pandemia, costantemente connessi a piattaforme social, vedere un post in cui i propri contatti si divertono e conquistano “like”, potrebbe diventare un qualcosa di inaccettabile, provocare addirittura un sentimento di rancore verso se stessi perché non si è in grado di essere tanto popolari, o verso gli altri, insoddisfazione o agitazione.

Pur non essendo una patologia riconosciuta a livello clinico, la sua insorgenza può aggravare una condizione di tipo depressiva o ansiosa pregressa; le caratteristiche di questa sindrome sono una presenza di ansia e irrequietezza in assenza di controllo delle notifiche; una maggiore diffusione tra i giovani; una maggiore frequenza in soggetti con difficoltà attentive; si sviluppa prevalentemente tra coloro che utilizzano i social nel contesso scolastico; una possibile comorbilità in soggetti con basso livello di autostima.

La Nomofobia

La FOMO è correlata ad un’altra sindrome che deriva dall’uso distorto dei dispositivi mobili smartphone, la Nomofobia che sta per “NO MOBILE” fobia, o sindrome da disconnessione, ossia la paura incontrollata di non avere accesso alla rete mobile, i cui aspetti peculiari sono l’ansia, senso di disagio, nervosismo e angoscia dati dall’impossibilità di connettersi con il cellulare o da un pc; l’effetto derivante è un continuo controllo del cellulare, che da l’illusione di tenere sotto controllo qualsiasi situazione. Anche questo processo col tempo rischia di trasformarsi in una dipendenza simile a quella da sostanze psicotrope.

Il Vamping

Analogamente il Vamping, che tradotto dall’inglese suona più o meno come “vampireggiare”, è associato alla tendenza a restare connessi sulle piattaforme social nelle ore notturne, e come fossero vampiri i ragazzi aspettano la notte per dare avvio a comunicazioni virtuali con utenti spesso sconosciuti.

Il Vamping consiste nel partecipare alla vita di community in modo aggressivo durante le ore notturne, le conseguenze, come per le precedenti sindromi, spaziano dalla irritabilità diffusa, al nervosismo, allo scarso rendimento e incapacità di svolgere correttamente i compiti in classe o a casa. Bisogna dire che spesso una parte della responsabilità si deve accollare ai genitori iperconnessi anche loro, che espongono l’infanzia dei figli pubblicando foto senza riflettere sulle conseguenze che potranno verificarsi di lì a pochi anni quando andranno a scuola e crederanno che la sovraesposizione ai media e l’accumulo di like fungano da rinforzo all’autostima.

Il diritto alla riservatezza dei propri figli

Sono imbarazzanti quelle foto o video pubblicati da genitori in cui i figli si mostrano in pose plastiche o forzatamente spontanee, essi dimenticano che in quelle foto e in quei video su certe piattaforme non vi è nulla di spontaneo poiché non esiste azione spontanea in un genitore che espone il proprio figlio sul web come fosse un oggetto in vetrina.

Quella vetrina, che molti pensano sia un trampolino di lancio per una carriera probabilmente da influencer, come è di moda di questi tempi, non è altro che una effimera illusione di appartenere al gruppo ristretto di eletti che contano, a cui si riconoscono capacità superiori alla media dei ragazzi comuni, a cui si deve rispetto e venerazione.

Il rispetto però in quei casi dovrebbe venire prima dai genitori, che dovrebbero rispettare la privacy, il diritto alla riservatezza dei propri figli che necessitano di tutta la protezione di cui sono capaci, impedendo che il virtuale si insinui nella vita privata dei bambini e ragazzi.

Bisognerebbe che quei genitori avessero il buonsenso di tenere al riparo i figli da certe trappole della rete che possono avere conseguenze letali, come purtroppo negli ultimi tempi le cronache ci hanno mostrato, e questo non si fa apponendo lo smile sul volto dei minori, esiste infatti una tutela di questi dall’uso improprio e inopportuno della loro immagine da parte degli stessi genitori che non possono postare foto ad esempio del compleanno dei propri bambini con i loro amici, se non hanno avuto  il  consenso dai genitori di questi, nemmeno se il profilo è privato.

Sul web nulla è privato

Sul web è bene ricordare, purtroppo nulla è privato, e tutto resta a memoria futura, per questo sarebbe utile fermarsi a riflettere dieci secondi prima di pubblicare una foto personale, venti secondi se questa contiene l’immagine di un minore, chiedersi se davvero gli farà piacere un giorno da grande rivedere in giro chissà su quale piattaforma la sua immagine, magari di quando per la prima volta ha usato le posate da solo e si è imbrattato tutto e prontamente è stato immortalato perché il genitore ha ritenuto la cosa così importante da renderla pubblica e ingenuamente ha postato l’evento.

L’ansia da iperconnessione, il dover essere costantemente presenti nella vita virtuale perché tutto ciò che non è condiviso non è mai accaduto, sta diventando una sensazione molto reale e pervasiva del nostro modo di vivere e valutare di cosa realmente abbiamo bisogno, da questo allora si dovrebbe partire con la riflessione che ogni tanto spegnere il cellulare e dialogare alla vecchia maniera, ascoltando l’altro e soprattutto i ragazzi fa bene al cervello, alle connessioni neuronali e all’umore.

di Pasquale Crespa

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