Il protagonismo delle “ombre”: le opere di Mario Panizza
Le ombre esercitano una fascinazione ambivalente e profonda, che si perde nella notte dei tempi, e di cui la città di Napoli si nutre nel mito e nella storia
Di Daniela Marra
Anversa 1782. Con una riflessione ammirata di fronte al Cappello di Paglia di Rubens, che rappresenta una delle mogli del pittore, Madame Le Brun, ritrattista di Maria Antonietta, si sofferma nelle sue “Memorie” su quell’effetto di luce, che tanto l’affascinò e ispirò da volerlo riprodurre in suo autoritratto:” … il suo straordinario effetto nasce dai due diversi tipi di illuminazione: quella del sole produce toni chiari e quella della luce del giorno crea tonalità che, in mancanza di un’altra parola, devo chiamare ombre.”
Le ombre esercitano una fascinazione ambivalente e profonda, che si perde nella notte dei tempi, e di cui la città di Napoli si nutre nel mito e nella storia: dalla mitica fondazione di Parthenope, sirena incantevole e terribile, creatura meridiana e solare che trascina il malcapitato tra le ombre, fino alla storia della città-soglia, luogo di luce e ombra. Ed è proprio a Napoli che l’ombra, rielaborata matericamente da Mario Panizza, attraverso l’acrilico su tela, diviene protagonista, al PAN- Palazzo delle Arti Napoli-, della mostra Linea d’ombra. Il titolo della raccolta (Linea d’ombra, Napoli, Editoriale Scientifica, 2020, euro 10) dà l’idea di un viaggio fluido tra l’appartenenza e l’alterità, in cui vengono attraversati luoghi e storie d’ombre in dialogo continuo tra figure e strutture.
Le ombre di Mario Panizza, che sono spettri e apparenze ma anche tracce e indizi, si allungano, acquisiscono volume, si scompongono, per raccontare, in una danza metamorfica di scala di grigi, storie di architetture, cose e persone, le tre aree tematiche dell’allestimento. Il percorso espositivo di dispiega su tre sale, ognuna focalizzata su un raggruppamento tematico e include 34 opere che dialogano tra loro attraverso l’ombra, la categoria indefinita, che apre le porte a un universo percettivo parallelo della realtà, un’ipotesi del reale, dove si intrecciano e rincorrono infinite possibilità.
Il grande merito di Panizza è di aver reinterpretato l’ombra a fini percettivi, soprattutto laddove le ombre bidimensionali per natura acquistano volume, grazie a scelte tecniche e stilistiche, dimostrando un maggiore interesse per la percezione e in questo modo discostandosi dall’iperrealismo, pur rimanendo un “precisionista”, come è stato più volte definito.
L’ombra: un fascino universale
I dipinti, elaborati a partire da fotografie, scattate dall’artista e da amici, dimostrano come la tematica-ombra eserciti il suo fascino universale, suscitando in ognuno sentimenti diversi. Camminando tra le tele, le immagini trasportano in un’atmosfera di sospensione indefinita che fa ripensare al reale, quelle ombre così lontane nello spazio e nel tempo suscitano, in un gioco partecipativo, un sentimento di appartenenza pur non essendo le proprie, probabilmente residuo di un sentimento archetipico provato di fronte alla propria ombra: l’ombra che mi appartiene è così incompleta e sommaria che inciampa nell’alterità, una perturbante estraneità.
Non deve stupire: l’ombra è un topos culturale che attraversa l’intera storia dell’umanità, dalla favola alla psicanalisi, dall’Arte alla letteratura, dal cinema alla tradizione popolare. Inoltre fin dalla tenera età siamo attratti dal lato oscuro della luce, non esiste bambino che non giochi incuriosito con la propria ombra e si diverta a creare stranianti effetti di luce, eppure non viene razionalizzata pienamente fino ai nove anni come spiega Piaget. Mario Panizza in maniera affascinante e convincente riesce a ricreare con le sue opere l’atmosfera sospesa, l’ambivalenza, la percezione di un enigma coinvolgente, e uno straordinario sentimento di attrazione, rendendo le narrazioni per immagini vere e proprie linee di senso da inseguire tra le ombre.
di PC
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