Intervista esclusiva a Mìcol Mei: autrice del romanzo “Il Richiamo del dirupo”
“Il Richiamo del dirupo” è il primo romanzo di Mìcol Mei, autrice torinese. Genere: narrativa. Il romanzo è stato pubblicato per la casa editrice Miraggi Edizioni, e racconta la storia di un dirupo misterioso dove una combriccola di originalissimi personaggi trovano scampo al dolore della vita. Per conoscere meglio la storia e i progetti dell’autrice l’abbiamo intervistata per PressNews.
• “Il Pallido Rifugio è una grande casa vittoriana sospesa su una scogliera a picco sull’oceano, dove si ritrovano una ex tennista, un giovane scultore di successo, una madre che ha perso le tracce della figlia e un giovane affetto da una rara malattia che gli rende la pelle blu”. Dall’incipit della sinossi del Suo romanzo, c’è un fattore che mette da subito in stretto contatto i Suoi personaggi: il bivio davanti a cui si trovano. Capita a tutti prima o poi di sentirsi arrivati, di guardarsi indietro e non vedere altro che detriti, e questa è un po’ la sorte che capita anche ai protagonisti del “Richiamo del Dirupo”. C’è un momento nella vita in cui Le è capitato di sentirsi così? Se sì, come l’ha superato?
Io mi considero una sopravvissuta, una persona che oggi riesce ad amare le sue cicatrici. Sarei sicuramente stata una candidata al ‘Pallido Rifugio’ in diversi momenti della mia vita. Credo che non sia possibile essere veri e onesti con se stessi e non arrivare mai a un momento di occhio di bue sul palco in cui ci si vede, nel bene e nel male, per chi si è. Questo fa male ma ci concede di andare oltre, cambiare pelle, commettere errori diversi.
• A proposito di momenti difficili, il lavoro che procede la sua opera d’esordio è evidente che sia stato lungo e meticoloso. Poiché i Suoi personaggi sono dotati di grande spessore, viene da chiedersi se poi non risulti difficile all’autore decidere per loro anche quando acquisiscono una certa tridimensionalità. Insomma, Le capita di affezionarsi ai Suoi personaggi? Le capita di doversi imporre di mantenere le distanze da loro, oppure li considera sempre come individui irreali e indipendenti da Lei? Che cosa rappresentano e hanno rappresentato per lei questi quattro individui singolari?
Sono certamente legata ai miei personaggi come fossero una sorta di figli e amici allo stesso tempo. Nel momento in cui si ‘vede’ nella propria immaginazione delle idee e dei dettagli tramutarsi in esseri umani, diventano automaticamente parte della propria storia. Questi individui sono un grande mix di esperienze, riflessioni, creatività, proiezione, ricordo ecc.. Le decisioni le prendiamo assieme io e loro, sia chiaro.
• Per un autore, si sa, i protagonisti dei Suoi libri saranno per sempre come figli. Restando sempre in tema, tra quelli che Lei racconta nel “Richiamo del dirupo” c’è qualcosa che mal sopporta e, contrariamente, qualcosa che invece li rende unici ai Suoi occhi? C’è un personaggio a cui sente di esser particolarmente legata per ciò che vive nel romanzo? Se sì, qual è?
Detesto la non azione, lo stallo, i sentimenti tenuti sotterranei e l’ipocrisia. Purtroppo il personaggio di Mila ha necessità di portare alla luce questi limiti umani. Nella vita quotidiana forse non avrei così tanta pazienza con lei!
Sono tutti unici perché ho infuso loro delle essenze pure per poter renderli più universalmente comprensibili e vicini al lettore. Sono un infuso molto concentrato e pieno di note di profumo, composte da tre fasi nell’odorato. Thymian è certamente il personaggio che oggettivamente mi ricorda di più ma è sorprendente quanto di me ci sia in ogni cosa che scrivo per cui non posso fare figli e figliastri.
• Nel suo romanzo è ricorrente l’idea dell’incomunicabilità: i Suoi personaggi non sono più in grado di comunicare con il mondo, di relazionarsi con esso, e si chiudono in sé stessi. Così, quel sentimento, durante la lettura, si fa metafora di qualcosa di più grande e tangibile, l’incomunicabilità propria dei nostri tempi. Lei crede che, di questi tempi, si sia persa l’abitudine al confronto e allo scambio? Che venga sempre meno il tentativo di comprendere gli altri? Quanto è importante secondo Lei sentirsi parte di una comunità? Esserne parte.
Non credo che sia oggi una grande propensione a comunicare davvero col prossimo. Gli schermi non sono solo fisici ma non luoghi, la frammentazione dell’io può scendere nella patologia, al meglio in una completa solitudine. Non vedo accompagnamento, educazione ai sentimenti e alla vita. Io sono sempre stata una battitrice libera perciò convinta di aver bisogno degli altri meno di quanto in realtà ne avessi necessità. Tendo ancora oggi a isolarmi nella mia bolla in cui scrivo, ricerco, mi perdo. Questo è molto bello ma oggi mi rendo conto di ‘appartenere’ a molte cose. Fa bene al cuore abbandonare un po’ l’individualismo.
• Il Suo romanzo, fin dall’immagine di copertina sviluppata con tecnica RGB, preannuncia al lettore che si troverà davanti a qualcosa che sarà luogo sì di bellezza ma anche di stramberia, di doppiezza. Vuole raccontarci il percorso che l’ha portata a scegliere per il suo romanzo quella che è evidentemente la Cliffhouse di San Francisco? Si è ispirata a quel luogo anche per l’ambientazione del suo romanzo?
Durante la creazione della ‘cornice’ narrativa del “Richiamo del dirupo” ho trovato molte immagini e reportage sulla Cliffhouse di San Francisco e ho pensato che fosse l’immaginario perfetto per le storie che avevo in mente di raccontare. Cercavo un luogo ideale a picco su una scogliera. Pensavo al Devon e poi ho trovato la Cliffhouse. Ho spedito più foto possibili del posto al grafico, lui ha aggiunto la RGB rendendola molto più simbolica e moderna. Ho usato pezzi di girato sul luogo per realizzare mini video in promozione del libro sul mio canale YouTube. Più in generale io trovo che nessuna storia stia in piedi se non è radicata da qualche parte. Ci deve essere un contesto che diventi anch’esso personaggio.
• La predominanza dell’arte nel “Richiamo del dirupo” ci porta a credere che anche per Lei l’arte in generale abbia un ruolo centrale nella vita di tutti i giorni – d’altronde basterebbe aprire i suoi canali social per comprenderlo definitivamente. Per questo vorrei analizzare il Suo punto di partenza in quanto scrittrice, le Sue fonti, ciò a cui si è ispirata per riuscire a scrivere un’opera complessa e stratificata come “Il richiamo del dirupo”. C’è un testo – o più di uno – che l’ha guidata durante la stesura dell’opera?
Mi sono affidata a tutto ciò che ho letto, vissuto, sentito, visto nella mia vita. André Gide è stato certamente una traccia molto rilevante. Il resto è stato un rompicapo costruito dalle mille arti incrociate nella mia produzione artistica.
• “Il richiamo del Dirupo” non può essere considerata solo un romanzo ben costruito, è chiaro che dietro gli scopi narrativi si nascondano invece intenti più profondi, messaggi chiari e inequivocabili. In merito anche a ciò che diceva poco fa, crede che la letteratura debba farsi tempio di introspezione? Che sia uno strumento attraverso cui reinterpretare i nostri giorni? Qual è il Suo ruolo?
‘Tempio’ mi pare un termine stupendo ma non essendo molto spirituale preferirei optare per Agorà! Se si fruisce delle Arti solamente in modo meccanico e superficiale non si è capito il senso che le Arti hanno, ovvero di trascendere, andare oltre. Nel proiettare esiste una forma di comprensione di sé che è introspezione. Altrimenti si sta sinceramente sprecando l’arte che si consuma. Chi ha creato ha messo impegno perciò tocca anche a chi fruisce metterne un poco.
• In tempi in cui purtroppo si legge sempre di meno, c’è un rimedio secondo Lei a questa deriva delle arti? In che modo, oggi, l’arte può continuare a parlarci? Che cosa significa essere una scrittrice nel 2023?
L’arte parla sempre, forte e chiaro. Il problema è fornirle un megafono consono. Purtroppo essere autore o artista oggi da la sensazione di fare parte dell’orchestra del Titanic, a intrattenere e far pensare sul baratro del precipizio. Mi chiedo però se forse non sia sempre questa la condizione dell’intellettuale e del creativo, in ogni epoca e ogni cultura. Chi devia dal conformismo è sempre in minoranza e si sente Cassandra, urla al vento le sue profezie e nessuno le prende sul serio. Io ho scelto di suonare fino alla fine, altrimenti che cosa possiamo fare. Solo continuare, ostinati e contrari.
• A questo punto Le farò una domanda un po’ scomoda ma che sono certo otterrà sincerità in cambio. Che cosa ne pensa, dunque, di quella letteratura che ha per scopo solo l’intrattenimento del lettore? Va condannata?
L’intrattenimento è necessario per chiunque, perciò no, non va assolutamente condannato.
Come i film e i libri cosiddetti ‘di genere’ non sono inferiori ai grandi autori. L’arte è più complicata di così. Io ora ho un mio gusto molto preciso e affinato da anni di visioni e letture ma esistono opere che non sono capolavori ma mi risultano necessarie, perché legate a ricordi, nostalgie, predilezioni. Quello che conta a mio parere è differenziare. Capire cosa è cosa. Questo fa tutta la differenza del mondo.
- Titolo: Il richiamo del dirupo
- Autrice: Mìcol Mei
- Editore: Miraggi Edizioni
- Genere: Narrativa
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