Ordine e Irregolarità alla tavola di Edwin Cerio: Giovanni Brancaccio e Raffaele Castello ospiti del quarto faraglione di Capri
a cura di Daniela Marra
Talvolta accade che alcuni tesori emergano silenziosi e timidi, e come un canto di sirena, attirino in un labirinto di fascinazione, aprendo vie inaspettate.
Capri 2018. Dall’archivio del Museo Cerio fa capolino una fotografia del 1959, un’immagine come tante, che ritrae Edwin Cerio, l’anima culturale di mezzo secolo di vita caprese, il visionario ed eclettico genius loci dell’isola. Nella foto lo studio fa da sfondo a una scena domestica: la tavola in primo piano, il padrone di casa seduto in posizione centrale con la figlia tra le braccia e ai lati l’artista Raffaele Castello, che siede alla sua destra e il pittore Giovanni Brancaccio alla sua sinistra, intento a leggere un quotidiano. Era la fine degli anni ’50, una nuova età dell’oro per Capri, l’isola sospesa, culla de la dolce vita.
La bellezza dell’isola Azzurra era ancora intatta, senza tempo, si vestiva di mille tinte d’Arte e di tendenze straordinarie. Edwin Cerio, sovraintendente della bellezza, accoglieva, come un antico mecenate, all’ombra dei cipressi avvolti dall’intenso profumo delle rose, personalità poliedriche di artisti, grandi studiosi e nobili estrosi. Marinetti, Ada Negri, Mackenzie, Neruda, Castello, Brancaccio, Sartre e tanti altri animarono casa Cerio come una villa dei Medici di Bellezza ed Eternità. In un’atmosfera di pace irreale il padrone di casa, Edwin, uomo eclettico e gentile a tratti stravagante e irrefrenabile, coinvolgeva i suoi ospiti, spesso accompagnati da visioni distanti, dando vita a veri e propri ponti artistici e culturali.
Già nel 1922 durante il Convegno sul paesaggio, promosso dallo stesso Cerio, due tendenze apparentemente contrastanti, che si fronteggiavano sul tema architettonico, riuscirono a trovare un punto d’incontro significativo. Emblematica fu la chiusura del Congesso. Dopo la cena, i nostalgici del passato e i fautori della modernità furono invitati per un giro notturno intorno all’isola, una passeggiata simbolica dal sapore antico, che rappresentò la posizione di conciliazione tra le due visioni: l’eternismo, dove il passato e il futuro sono stretti nell’abbraccio di un tempo circolare alla greca.
Ricercare nel passato le vie dell’avvenire e proiettare nel futuro le bellezze della tradizione, per aprirsi alle innovazioni, sono stati i concetti chiave della visione armonica di Cerio, che attraverso il sapiente uso di tinte antiche e sfumature da avanguardia, riuscì ad accordare personalità così differenti come nel caso del pittore dell’ordine, Giovanni Brancaccio e dell’irregolare Raffaele Castello, che nella fotografia emersa dall’archivio siedono alla stessa tavola.
Giovanni Brancaccio: il pittore del ritorno all’ordine
Nel quadro artistico del secondo dopoguerra, dove l’alternativa che si intravedeva, era tra il realismo e l’astrattismo, due tendenze inconfondibili ma legate alla medesima aspirazione di libertà d’espressione, Brancaccio viene classificato come uno dei pittori del ritorno all’ordine. Legato alla figurazione, dalle gamme cromatiche ricche e pastose, che rivelano una profonda conoscenza della pittura napoletana del seicento, perviene a un suo personale espressionismo: molte opere di questo periodo presentano un carattere quasi caricaturale, drammaticamente teatrale, amplificato da pennellate violente.
Le sue figurazioni sono state paragonate a maschere di teatro. Infatti Gino Grassi scriverà sul Roma del 26 marzo del 1971 che “i napoletani di Brancaccio ricordano les enfants du paradis e conducono, col sorriso sulle labbra e la morte nel cuore, una disperata e angosciosa danza sulla polveriera di un mondo in dissoluzione”. È interessante notare la produzione di Brancaccio dedicata agli oggetti, che rappresentano il mondo al di là della loro contingenza e sono espressione di simboli universali; proprio come la tavola di Edwin Cerio, che si innalza a simbolo di una Capri libera e distaccata dalla politica, lontana idealmente dal mondo, un luogo rituale di elezione per la libertà espressiva e crocevia mitico per il mondo delle Arti.
Raffaele Castello e le sue geometrie astratte
Al lato opposto della tavola siede non a caso Raffaele Castello, che per le sue geometrie astratte e per l’aspetto umbratile e irregolare è stato definito precursore di astrazioni liriche. Le superfici non sono mai piatte e si sviluppano da macchie di colore, che si fondono tra loro, collocandosi l’una sull’altra. L’esperienza creativa di Castello nasce spesso da un’esperienza della natura vissuta come un’avventura cosmica. Conosciuto più all’estero che in Italia, visse una stratificazione
d’ispirazioni, di cui si fece interprete singolare e innovatore eccezionale. La sua pittura così immediata e lontana da ogni intellettualismo calcolato, è espressione di memoria intima: il lirismo cromatico, tra simmetrie e vortici umbratili, rimanda sempre a un’idea contemplativa. Il mare, i tori, le notti, i fondi marini, furono i soggetti naturali su cui indirizzò il suo sguardo. Gian Gaspare Napolitano nel 1959 sul Giorno definì la sua pittura una pazzia calma, una mania solitaria. Castello fu un pittore amico di letterati e fece della letteratura la sua seconda vocazione. La fascinazione per la conoscenza lo avvicinò a personalità poliedriche: Axl Munthe, Norman Douglas, Lawrence, Gorky, Mondrian, Delunay, Malaparte, Ungeretti e altri ancora, furono insieme a Edwin Cerio stimoli per seguire nuovi percorsi.Tanti furono gli ospiti alla tavola del moderno mecenate della Bellezza, che resero l’isola un approdo culturale internazionale.
E se ieri Raffaele La Capria si sentiva vicino a Edwin Cerio per la sua assurda e oggi da tutti ripudiata fantasticheria che la Bellezza salverà il mondo, che non è un sogno da esteti come Ruskin o da reazionari come Dostoevskij, è sempre lecito chiedersi, in questo inizio di primavera che ha rotto il suo patto con il tempo, la Bellezza può ancora essere salvifica e portare un respiro di libertà?
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di Pasquale Crespa
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