“Teresa Genova: Un’intervista tra le pagine di ‘Un arcobaleno sull’asfalto bagnato'”
Un arcobaleno sull’asfalto bagnato è il romanzo d’esordio di Teresa Genova, scrittrice e fondatrice della scuola per l’infanzia trilingue, La Maisonette. Per PressNews abbiamo recensito il romanzo e siamo ora lieti di condividere le domande con cui abbiamo cercato di conoscere meglio Teresa Genova e i suoi progetti futuri.
- “Un arcobaleno sull’asfalto bagnato” esplora temi come l’autorealizzazione, l’emancipazione personale e la scoperta di sé. Qual è stata la motivazione principale per affrontare queste tematiche? Che cosa ti ha spinto a volerle affrontare nel tuo romanzo d’esordio?
La motivazione è stata elaborare tutto ciò che ha fatto parte della mia esistenza, capirne il significato e intrecciarlo con la vita di una giovane donna che ha avuto il coraggio di affrontare il cambiamento.
Il desiderio di scrivere questo romanzo è sorto lentamente dopo aver smesso di lavorare. I temi che hai elencato prima: autorealizzazione, emancipazione personale e necessaria scoperta di sé, sono quelli che hanno caratterizzato la mia vita e le scelte che ho fatto.
- La fragilità e la ricerca di affetto di Giulia sono elementi chiave della sua storia. Come hai sviluppato il suo personaggio e la sua evoluzione attraverso la lettura del diario di Teresa? Ti sei ispirata a qualcuno per raccontare il suo personaggio?
Ho pensato che per una giovane donna che decide di affrontare una nuova vita, trovare un diario dove vengono narrate le vittorie, le gioie e le sconfitte di un’altra giovane donna – ma avvenute in un altro tipo di contesto storico e familiare – potesse aiutarla ad affrontare nuove sfide. Se mi sono ispirata a qualcuno per il personaggio di Giulia? Certo: alla me stessa di oggi e a quello che ero – e che ancora sono.
- I temi del supporto reciproco e della solidarietà tra donne sono molto presenti nel libro. Pensi che questa solidarietà sia fondamentale nella vita reale? Perché?
Credo molto nel modo di dire “Nessuno si salva da solo”. Tutti abbiamo bisogno degli altri, per sentirci meno soli. Attraverso l’aiuto degli altri dobbiamo rinforzare la nostra capacità di superare gli ostacoli e fare le scelte giuste. Nella vita tutto viene meglio insieme.
- Il tuo romanzo sembra suggerire che le esperienze passate, anche quelle dolorose, siano fondamentali per la crescita personale. Che cosa vorresti che i lettori apprendessero da questa visione?
Sì, ne sono fortemente convinta, il dolore è fondamentale per crescere. Indispensabile, necessario. Impari a superarlo lottando da sola contro il drago e questo ti fa crescere. Per risponderti, cito una frase che mi è venuta in mente di Lev Tolstoj “Se senti il dolore sei vivo. Se senti il dolore degli altri, sei un essere umano”.
- Ci sono autori/autrici o opere che hanno influenzato la tua scrittura o – più semplicemente – la struttura del tuo romanzo? Hai avuto qualche influenza letteraria durante la scrittura? Se sì, che cosa e chi ti ha ispirato?
In tutte le opere che ho letto ho sempre cercato di trovare un pezzetto di me stessa che non credevo di avere ma che leggendo ho ritrovato. Tutti i libri mi hanno arricchito e ispirato, sono i miei veri amici ai quali ricorro quando voglio stare in buona compagnia.
- Come lettrice, invece, quali sono i tuoi autori di riferimento e quali le storie che ti hanno appassionata?
Marcel Proust con “La Recherche”, Virginia Woolf con “Gita al faro” e tutte le sue opere… e poi “Gli anni” di Annie Ernaux. Ultimamente mi documento e riscopro libri mai letti prima di Michela Murgia: è una donna, una professionista e un’intellettuale di cui ho stima, non solo per il suo lavoro più noto, il Campiello “Accabadora”, ma soprattutto per il suo coraggio e il suo spendersi per i propri ideali – che condividiamo totalmente, e forse tutti dovremmo condividere un po’ di più.
- Prima di approdare alla scrittura, hai fondato “La Maisonnette”, una scuola per l’infanzia trilingue ma anche e soprattutto un progetto educativo innovativo, conosciuto in tutto il mondo. Quali valori e ideali hai portato da questa esperienza nella tua scrittura? C’è un fil-rouge che tiene insieme l’esperienza di formatrice e l’attuale attività artistica?
Durante la mia direzione, nelle scuole che ho guidato, non abbiamo seguito un metodo rigido, ma abbiamo adottato un approccio educativo ispirato dagli scritti di vari studiosi dell’educazione, con una particolare influenza da parte di Jerome Bruner.Credo fermamente che la presenza discreta dell’educatrice sia fondamentale nel sostenere e accompagnare la crescita del bambino.
Il fil-rouge che unisce l’esperienza artistica e di formatrice forse, metaforicamente, potrebbe essere l’oggetto diario: una testimonianza discreta, silenziosa che accompagna Giulia nella sua crescita, proprio come fa un’educatrice con i bambini e le bambine (e come ho fatto io).
- La figura di Teresa è una donna matura con molti ricordi, una donna che ha dovuto fare i conti con cambiamenti e rivoluzioni importanti. Quanto di questi ricordi e riflessioni sono basati sulla tua stessa vita? Nella vita, fino a ora, sei stata più Giulia o più Teresa?
Quando ci si immerge nella vita di un personaggio della storia, c’è sempre qualcosa di personale, altrimenti non potrebbe essere scritta – o almeno, questo è il mio modesto punto di vista. Mi piacerebbe pensare che il lettore più che chiedersi se ciò accade sulla carta corrisponda a esperienze che sono accadute a chi le ha scritte, si chiedesse come agirebbe lui in quel momento della narrazione. Ora sono “diversamente giovane” non potrei mai essere Giulia, anche perché ho sempre creduto nell’amore e non ne ho mai avuto paura.
- Come ti ha influenzato l’essere una donna che ha vissuto tra due culture (italiana e americana) nella scrittura di un romanzo che parla di emancipazione femminile? Nella nostra contemporaneità trovi delle differenze e/o punti di contatto tra la considerazione e la posizione della donna negli Stati Uniti e in Italia?
Vivo in California da poco tempo, quindi nella scrittura del romanzo non ne sono stata influenzata. Però nella mia vita e attraverso il mio lavoro, sono stata a contatto con molte culture che hanno arricchito la mia fioritura.
La California è uno Stato singolare rispetto agli Stati Uniti: qui ancora si respira un’atmosfera hippy. Per ora, un fatto che ho notato è che sia le donne sia gli uomini si curano poco di come appaiono esteriormente: nel vestirsi, nel mostrare il proprio tenore di vita. Eppure, la differenza fra classi sociali è più evidente che altrove, soprattutto per le diseguaglianze che incorrono tra le varie fasce sociali. Chi fa parte di una classe più benestante, tuttavia, non ostenta ricchezza, veste in modo semplice. Ciò che ho potuto sperimentare direttamente, inoltre, è che qui le persone sono molto sicure di sé; “I can do it” è un motto, uno stile di vita che si persegue fin da piccoli nelle scuole, al contrario di noi italiani, che spesso non ci sentiamo mai all’altezza delle situazioni e non siamo mai sicuri di noi stessi.
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