L’ultima grande battaglia – dal Barocco di Salvator Rosa al contemporaneo di Max Coppeta. Il dialogo contemporaneo dell’artista con il passato
A cura di Daniela Marra
La Baccaro Art Gallery (Pagani, Salerno), che ospita la mostra L’ultima grande battaglia – dal Barocco di Salvator Rosa al contemporaneo di Max Coppeta, a cura di Alessandro Demma, ha dimostrato una grande capacità di sperimentazione e rinnovamento, accogliendo con entusiasmo il dialogo contemporaneo dell’artista con il passato.
Il progetto, da un’idea di Davide Caramagna (presidente dell’Ass. Cult. MM18), apre un ciclo di esposizioni che hanno il fine di mettere in dialogo l’arte di Max Coppeta con alcuni capolavori dei più celebri artisti del Barocco napoletano (F. Guarini, F. Solimena, L. Giordano, M. Pino da Siena, S. Rosa, per citarne alcuni) provenienti dalla Fondazione De Chiara De Maio, con l’eccezionale contributo critico dello storico dell’arte Sandro Barbagallo (curatore del reparto Collezioni Storiche dei Musei Vaticani).
In questa prima esposizione, tutto ruota attorno all’opera La Battaglia tra turchi e cristiani di Salvator Rosa del 1630,
Lo scontro navale che ebbe luogo il 7 ottobre 1571 nelle acque di Lepanto, segnò una svolta epocale nella storia del Mar Mediterraneo e di tutti quei paesi che, fino ad allora, erano stati coinvolti nella lotta per arginare la minaccia turca.
La ricerca “Riflessi e Deformi” dell’artista Max Coppeta, opere che esplorano la proprietà dell’acqua e dei liquidi di ingrandire oggetti immersi in essa a causa della differenza dell’indice di rifrazione, è un potente decodificatore, che indaga metaforicamente la percezione della realtà, spesso distorta dalla fame di sopraffazione. La luce che, ne La Battaglia di Lepanto, trafigge i visi dei protagonisti dei due gruppi antagonisti è reinterpretata in chiave contemporanea dall’artista, che la assimila, per rifletterla nelle sue sculture.
L’osservatore viene avvolto e catturato dalla forza attrattiva che anima le opere di Rosa e Coppeta. Questa forza, sembra fuoriuscire dalle figure per propagarsi nei rimandi di una storia che scuote il presente e torna ad essere forma nuova. Come nuove sono le ombre che ammantano la contemporaneità in un effetto chiaroscurale e l’invito è di cogliere quel barlume di luce che attraversa ogni crepa causata dalla battaglia.
Max Coppeta approfondisce questa avventura artistica, spiegando in che modo il suo ritorno al passato rappresenti il “futuro”.
L’intervista
Nel chiedergli quali sono state le suggestioni e le emozioni nel dialogo tra lui e un pittore del passato così eclettico e fuori dagli schemi, Max risponde:
” Gli artisti sono per definizione eclettici, l’arte è una sintesi di esperienze interiori ed esteriori e più questo bagaglio è ampio, maggiori sono le possibilità espressive ed esperienziali. Gli schemi, se sono stereotipi o confini, non possono appartenere al libero pensiero degli artisti. Quindi posso affermare che tutti gli artisti sono eclettici e fuori dagli schemi, altrimenti semplicemente non lo sono. Salvator Rosa era uno “scugnizzo”, per dirlo con un termine napoletano, un ragazzo di strada, ambizioso e pronto a tutto, la sua insaziabile curiosità l’ha portato ad un altissimo livello rappresentativo. Le altre arti, in cui eccelleva: scrittura, musica e poesia, rendevano ancor più denso l’articolato linguaggio visivo che l’ha portato fino ai tempi nostri.
Nel barocco viene superata la differenza tra arti minori e maggiori, artigiani e artisti si equivalgono, forse per questo sono più evidenti le contaminazioni.
È sempre emozionante viaggiare indietro nel tempo, soprattutto in un periodo storico passato. Nei quadri di Salvator Rosa sono vivi i rumori, i suoni, le parole, gli odori; le sue rappresentazioni, sono splendidi documenti di una società, quella barocca, dove l’impostazione dei piani dei paesaggi o degli interni è squisitamente teatrale: la lezione dei Bibiena attraversa l’Italia intera e i punti di vista multipli arricchiscono i quadri di un’energia mai vista prima.
Sono stato rapito soprattutto dall’azione incessante, ho immaginato che Salvator Rosa potesse eseguire le proprie opere con un colpo di spada, più che con una linea di pennello, un “action painting” ante litteram, la fulminea esecuzione però non ha eluso anche i più minimi dettagli, un controsenso perché’ velocità e virtuosismo tecnico non possono coesistere.
Nella sua irruenza ho visto la mia opera, senza fronzoli e asciugata da qualsiasi elemento disturbante, al rumore delle sue battaglie ho contrapposto il silenzio meditativo e deformante dei miei materiali”.
Irruenza e meditazione, due elementi che possono apparire così lontani eppure trovano il loro punto di contatto nell’allegoria tanto cara al Rosa come a Coppeta. Eppure per Salvator Rosa la battaglia, oltre a essere un soggetto di studio già dai tempi in cui frequentava la bottega di Aniello Falcone, è un tema esistenziale. Per Max cosa significa “battaglia”?
“La battaglia non è necessariamente la forza che si esercita su un corpo contro l’altro, la battaglia può essere anche di un corpo contro sé stesso. La battaglia esiste in natura, tutti gli animali la esercitano per sopravvivere, per avere un ruolo più alto nel gruppo di appartenenza oppure per conquistare nuovi spazi.
La mia battaglia non ha una meta, è una battaglia universale, dell’uomo contro l’uomo, spesso vittima di scelte altrui, io rappresento le aberrazioni dell’esercizio di questa forza”. Scegliere un dipinto così potente come quello del Rosa ha sicuramente motivazioni profonde che l’artista spiega nei minimi dettagli.
“Sono sempre stato curioso verso i motivi che spingono al conflitto, questa energia e’ capace di modificare intere società oppure di distruggerle per sempre, spesso per una precisa scelta individuale.
La battaglia tra Cristiani e Turchi ha un alto valore simbolico, è ricordata nella storia occidentale come una vittoria memorabile, perché fu vissuta come un trionfo, sia da un punto di vista spirituale e soprattutto propagandistico, infatti numerose furono le opere che successivamente raccontarono quest’evento.
Il motivo della mia scelta è dettato da una forte attrazione per l’energia che si sprigiona da quest’opera, sembra amplificata perché dettata dalla giusta motivazione. Non è una guerra ma una vittoria, ho udito subito un suono fortissimo, erano le urla lontane dei vincitori”.E la vittoria è luce, a volte accecante, altre rivelatrice. Ed è proprio la luce, la chiave di volta per un’opera d’arte che non ha tempo, o meglio attraversa il tempo per abbracciare l’Aion;
Max Coppeta chiarisce nella nostra intervista da dove nasce questa esigenza formale: “la luce è la componente fondamentale della rappresentazione estetica, può agire in modo passivo o attivo in relazione all’opera.
“Nelle mie sperimentazioni cerco di raccontare l’universo, il mio sguardo è sempre rivolto verso l’alto, e dall’alto osservo il basso. Questo approccio non riguarda un punto di vista specifico, ma è il modo per rendere percepibile, l’impalpabile. Ho la consapevolezza che concetti come: tempo, luce, movimento sono subordinati alla nostra esperienza, ma spesso essa è limitata; l’esperienza deve essere accompagnata dall’immaginazione della complessità dell’universo, solo così possiamo essere in grado di vedere in modo espanso. L’Aion, l’Eterno è nell’Universo, l’universo è mutevole. La luce è vita, la luce non è semplicemente illuminazione ma energia, e l’energia si trasforma e ci trasforma”.
Il concetto di trasformazione, inesorabilmente evoca l’alchima, come l’alchimia del tempo che Max accoglie nelle sue opere secondo un’idea molto personale che chiarisce così:
“Il tempo non aiuta mai alla comprensione piena del mondo che ci circonda, in quanto, procede inesorabile. Bloccare un’azione nel suo procedere, vuol dire, poter osservare tutte le sue sfumature, perdendo qualsiasi riferimento temporale”. Un’immagine che riporta Max Coppeta a quella ricerca multiforme, quasi metastorica, che apre la porta a scenari e orizzonti riflessivi sublimandoli in espressioni artistiche della contemporaneità dal grande impatto visivo e immersivo.
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